Post 138
L’Olismo di Goethe
Johann
Wolfgang von Goethe (1749 – 1832) non fu solo un grande uomo di lettere (poeta,
drammaturgo, romanziere, scrittore) ma anche un grande uomo di Scienza. È del
1790 il suo saggio “Metamorfosi delle piante” la cui importanza scientifica
risiede in questo: l’infinita varietà delle piante, l’infinita bio-diversità
delle piante, che possiamo ammirare sul Pianeta Terra, deriva da un’unica
“pianta-tipo” che Goethe contrapponeva alla rigida suddivisione e
classificazione delle piante in “generi” e “specie” (… come se davvero
esistessero “generi” e “specie” e non fossero, invece, delle semplici comodità,
anche utili in fondo, ma non vere, non reali. E che, pertanto, vanno usate per
quel che sono). I concetti di base della morfologia vegetale di Goethe sono due:
il tipo e la metamorfosi. Riguardo al tipo,
Goethe riteneva che le diverse parti di una pianta (radici, fusto, foglie,
gemme, fiori ecc.) non stanno tra di loro secondo un semplice, lineare, e
riduzionistico rapporto di causalità meccanica ma tutte sottostanno ad un unico complesso di leggi
formative che è un quid, afferrabile
soltanto con la mente (intuizione e pensiero), che si esprime in forme, colori
e grandezze delle varie parti vegetali che si vengono a creare volta per volta,
a determinare caso per caso, e secondo una straordinaria varietà e diversità,
per l’interazione tra il quid e l’ambiente. Ed il quid è appunto il tipo. Per Goethe, tutti gli organi della
pianta sono costituiti dallo stesso principio formativo in modo che ogni
singola parte contiene in potenza l’intero ed in modo che ogni singola parte è
in rapporto non solo con ogni altra singola parte ma anche e soprattutto con
l’intero, con il tutto, con tutta l’intera e stessa pianta. Riguardo alla metamorfosi, Goethe sosteneva che la “pianta-tipo”, nei diversi stadi della sua
evoluzione, incontra due forza alternative: una di concentrazione ed una di
espansione. In particolare: nel seme si ha la massima concentrazione
dell’intera pianta in un sol punto; nelle foglie, poi, si manifesta la sua
prima forza d’espansione; nel calice del fiore ritorna la forza di
concentrazione che si espande, poi, nella corolla; e stami e pistilli sono
altre forme di concentrazione per successivamente espandersi nei frutti; e dai
frutti ancora ai semi, a chiudere il ciclo, che si ripeterà nuovo. Ma il grande
Goethe non ci libera dal Riduzionismo scientifico solo riguardo alla piante,
facendoci approdare, con balzo, all’Olismo scientifico. Lo fa anche in Fisica,
e specificatamente riguardo ai colori. È, infatti, del 1810 il suo saggio “La
Teoria dei Colori”. L’opera è interessantissima ma richiede d’esser letta per
intero. Pertanto, lascio al lettore interessato e volenteroso l’avventura in
tal senso. Mi basterà, qui ed ora, ricordare il senso di quest’altro
straordinario saggio di Goethe: in contrapposizione a Newton, Goethe sosteneva
che non è la luce a derivare dai colori ma …. esattamente il contrario! Un
cambio, anzi un ribaltamento, di paradigma! Hanno giustamente detto Paul
Feyerabend e Christian Thomas: “Si è più volte sottolineato come il problema
non debba essere posto in termini della domanda su chi tra Goethe e i fisici
abbia ragione, ma piuttosto nei termini di quest’altra: si deve ammettere
soltanto il metodo epistemologico della fisica oppure anche quello della via
battuta da Goethe?”. E visto che anche
la teoria di Goethe ha le sue ragioni e motivazioni e soprattutto ha i suoi
riscontri reali, come la si mette se non si considerano l’una una tesi e
l’altra una antitesi per dar vita ad una dialettica evolutiva (per una sintesi
superiore)? Sulla dialettica (vera) vedi Hegel, Feuerbach, Marx ecc. Insomma, sulle
piante, sui colori e su tanto altro, la Società non può (più) sottrarsi alla
dialettica (vera). Se vuole davvero risolvere i problemi (prospettandoci la
sostenibilità) e non solamente limitarsi a sistemare le questioni (prospettandoci
la pseudo-sostenibilità e quindi l’insostenibilità). E come sempre, ad maiora! E a presto. Luca Fortunato
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