Post 133
L’Olismo di Durkheim
Oggi inizia una serie di post che
tratteranno dell’Olismo in generale. I contenuti del mio primo libro, infatti,
hanno ormai una forte e positiva vita autonoma tra chi mi legge (nel libro
e in internet) e tra chi, su di essi, mi ascolta di persona e mi consente
pertanto, e prima dell’anteprima del secondo libro in dicembre prossimo, in
questo mio piccolo ma significativo angolo di mondo web, di occuparmi e di
dilettarmi - ogni tanto, compatibilmente con gli impegni di lavoro che per
fortuna e per merito sono tanti - con i
tratti generali del meraviglioso Paradigma. Anche soddisfacendo, con piacere, tutti
coloro (e stanno diventando sempre di più) mi chiedono di divulgare, di continuare a
divulgare, il meraviglioso Paradigma. Di
cui si avverte, e sempre di più, un grande bisogno. E di cui avvertono – e mi
fa un enorme piacere e ringrazio davvero di testa e di cuore – il bisogno della mia divulgazione!
Émile
Durkheim (1858 –
1917) sociologo, antropologo e storico francese è considerato (insieme a Karl
Marx, Vilfredo Pareto, Max Weber, George Simmel ed Herbert Spencer) uno dei
fondatori della moderna sociologia. Nell’opera di Durkheim, l’oggetto della ricerca sociologica sono i fatti sociali, sintesi di fattori individuali ma non la somma di
essi: i fatti sociali, necessitano di un approccio e di un modus operandi di
tipo olistico per essere indagati e
compresi vale a dire che essi non vanno considerati singolarmente ma vanno
considerati come parti di un tutto (esattamente come avviene - o dovrebbe avvenire
- nello studio di un organismo vivente e dei sistemi viventi). Per Durkheim, la
Società è di più della somma delle sue parti, cioè degli individui. L’opera di Durkheim rientra, infatti, nelle teorie olistiche sulla Società vista
come un intero organismo indipendente, nella sua globalità e nei suoi tratti
distintivi e significativi, dai suoi stessi singoli elementi costitutivi. È il
tutto che determina ed influenza le parti, non il contrario. Per Durkheim, ad esempio, i fatti psichici individuali sono
il prolungamento di fatti sociali
all’interno della coscienza e cita il caso del matrimonio: è l’organizzazione
sociale del matrimonio che fa nascere i sentimenti parentali, e non viceversa. Cosa
ottima, intendiamoci, ma occorre intenderla per quel che è! Vi è, in questo, un
significativo tratto in comune con Marx: “Non è la coscienza
degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere
sociale che determina la loro coscienza”. Ad ogni modo, si può, dunque, in
generale, valutare la normalità o il carattere patologico di un fatto sociale
solo riportandolo al proprio contesto, alla tipicità, al quid esibito dalla Società in un periodo specifico della
propria evoluzione. Durkheim
distingue le società semplici dalle società
complesse. Le società semplici (primitive) presentano una marcata
similitudine tra le persone e vi è una onnipresente coscienza collettiva causa
di una solidarietà di tipo meccanico. Il diritto è repressivo: si punisce perché
è stato causato un danno alla collettività ritenuta sacra. Le società
complesse, invece, presentano la divisione del lavoro per evitare la
concorrenza e vi è una solidarietà di tipo organico (come tra i diversi organi
di un essere vivente). Il diritto è restitutivo: si sanziona per ristabilire l'equilibrio infranto. Durkheim vede il lavoro come il principale fattore di coesione sociale, ancor prima
della religione: le persone diventano sempre più dipendenti e interrelate tra di loro,
perché ognuna ha bisogno di beni forniti da coloro che svolgono un lavoro
diverso dal proprio. “Tra Dio e la Società bisogna scegliere”, diceva il grande
Durkheim.
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