Post n. 27:
Intermezzo funzionale – 3 (L'Università ed il Mondo che c'è fuori ...)
Ieri sera mi
ha scritto uno studente di Agraria per ricevere alcuni consigli su come egli possa
fare a mettere in pratica le cose che studia dato che all'Università non glielo
insegnano e con riflessione sul fatto che sembra esserci un abisso tra quello
che si studia e quella che invece è la realtà. L’ho ringraziato per l’occasione
di scambio di idee ed ora riporto, anche in questo blog, il contenuto della mia
argomentazione di risposta perché considero la cosa importante e interessante nello
specifico ma anche in generale e culturalmente. Per tutti. Buona lettura,
dunque. Ciao e alla prossima. Luca Fortunato. lucaf73x@gmail.com :
il problema
posto è reale. Il divario tra ciò che si studia all’Università e la vita ed il
mondo che c’è al di fuori dell’Università, specialmente riguardo all’esercizio
professionale, è reale. Tuttavia, a mio giudizio, se è facile percepire ed
accorgersi di tale divario è molto più complicato e complesso capire la reale
natura di tale divario e dunque arrivare ai giusti rimedi. Uso una metafora: suonare musica blues e soprattutto musica jazz
vuol dire soprattutto improvvisare. Esiste un tema, un tema di base, un tema di
base iniziale e che si ripete. Ma su quel tema ogni strumentista poi e durante
il concerto ci improvvisa. Deve improvvisare. Ed ogni improvvisazione è frutto
della creatività e dell’intuizione e dell’euristica e della deduzione del momento.
Ebbene, il tema di base è come se fosse l’Università mentre l’improvvisazione è
l’esercizio della professione. A riguardo, si possono fare tante
considerazioni. Mi limito ad alcune: ciò che l’Università insegna non è sbagliato
ma è del tutto insufficiente per fare un “concerto” professionale compiuto. Del
resto, si possono insegnare le cose di base ma non si può insegnare ad improvvisare.
L’improvvisazione (esercizio professionale, dunque) è frutto di qualità
personali di tipo intuitivo, deduttivo, euristico, sintetico ecc. che nessun
corso, nessun libro ecc. potranno mai arrivare ad insegnare. E qui si arriva al
vero nocciolo della questione. L’Università sbaglia, a mio giudizio,
soprattutto nell’iscrivere e nel fornire i suoi insegnamenti entro un Paradigma
sbagliato (il Riduzionismo) che non favorisce il maturare e l’emergere di quelle
qualità personali di tipo intuitivo, deduttivo, euristico, sintetico ecc. che
invece possono fare e fanno la differenza. E che invece sono proprie del
Paradigma dell’Olismo. Ecco perché si percepisce lo scollamento tra realtà universitaria
e realtà professionale. E’ vero che non si può insegnare ad improvvisare ma è
altrettanto vero che si possono mettere le persone nelle condizioni migliori
perché esse possano arrivare ad improvvisare. La differenza è sottile, ma c’è,
esiste. Ed il segreto è tutto qui. A parte i contenuti del Riduzionismo ormai
superati da quelli dell’Olismo. Occorre una rivoluzione paradigmatica sia in
senso formale e metodologico, sia in senso contenutistico e sostanziale. Il consiglio?
Leggere anche altro. La Fisica? Leggere anche i fisici olistici (David Bohm,
Fritjof Capra, Robert Laughlin ecc.). La Biologia? Leggere anche biologi
olistici (Paul Weiss, ad esempio). La chimica e la biochimica? Leggere James
Ephraim Lovelock, ad esempio. Riguardo alla Legge, al mondo giudiziario (che anche
per un Tecnico è fonte di lavoro) leggere dell'olismo giuridico di Ronald
Dworkin, ad esempio. E così via. Generalmente, nell’Università d’Italia, tutto
questo è negato oppure denegato oppure trattato superficialmente oppure
trattato impropriamente (in modo pseudo-olistico, ad esempio) oppure lasciato
alla libera iniziativa di approfondimento individuale ecc. Invece leggendo
tutto ciò, anche tutto ciò, ed assimilandolo, si vedrà il divario tendere, nel
tempo, a scomparire o a farsi meno evidente. Questo perché l'Olismo è naturalmente
sintonizzato sulla realtà. Il Riduzionismo invece crede di esserlo. Farsi una
cultura olistica non è facile. Anche perché la percentuale dei professionisti
olisti nelle varie categorie professionali è bassa, anzi bassissima. Virtuosi
ma pochi, anzi pochissimi. Ma il fenomeno fortunatamente è in ascesa. Certo che
se poi si mettono anche i vari vertici (pre-universitari, universitari, post-universitari
ecc.) che invece di svoltare e di far svoltare continuano a rimanere e a far
rimanere nel Riduzionismo e, a volte,
anche peggio cioè a fare e a somministrare dello pseudo-olismo – la cosa si
complica. Ma il futuro sarà migliore. Nel senso che i virtuosi arriveranno ad
essere non proprio pochi. Per il bene non solo loro ma dell’intera Società. E’nella
logica delle cose.
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